lunedì 16 dicembre 2013

I tre sapienti e il Dio bambino

Hormidz, Jazdegerd, Peroz. 
Secondo la più antica fonte in nostro possesso (il Libro della Caverna dei Tesori, datato al V secolo), erano questi i veri nomi dei famosissimi Re Magi.
Due anni prima della nascita di Cristo, i tre sapienti, in Persia, avevano notato nel cielo una stella che aveva al suo centro l’immagine di una Vergine con un bambino coronato, in braccio. 
Compreso che si trattava di un nuovo re che stava per venire al mondo, i tre sapienti avevano scalato monte Nud, allo scopo di recuperare dalla Caverna dei Tesori (che dà il nome al libro, appunto), alcuni doni da portare al nascituro. I doni erano stati posti in quel luogo da Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso, assicura il libro.
I tre sapienti, presi con sè i tesori, avevano radunato un grande esercito e si erano recati in Giudea ad adorare il bimbo… per poi fare ritorno in patria, per la via del deserto.
Questa ed altre leggende simili, di ambito prevalente iranico, confuiscono in Occidente in una tradizione codificata nel XIV secolo dal monaco carmelitano Giovanni di Hildesheim, nella sua Historia trium Regum. È proprio in quel contesto, fra le altre cose, che i Re Magi assumono i nomi con cui li conosciamo oggi: Melchior, Balthasar, e Jaspar.
I Vangeli, effettivamente, non ci tramandano i loro nomi. Non ci dicono nemmeno che fossero Re, a onor del vero: il primo a conferire questo titolo ai sapienti è Tertulliano, apologista del II – III secolo. Rifacendosi al Salmo 72, 10, l’autore spiega che “in Oriente, i Re erano anche Magi”: e dunque, ecco i due termini venire accostati per la prima volta, in una unione destinata a durare a lungo.
Ma soprattutto, i Vangeli non ci dicono affatto che i Re Magi fossero tre. In alcune fonti molto antiche vengono ipotizzati ben altri numeri: nella Cronaca di Zuqnin (774 ca.), si legge ad esempio che i Re Magi erano dodici, in un evidente parallelismo col numero dei mesi e dei segni zodiacali. 

Il numero tradizionale si fissò a tre perché era in armonia con il numero di doni consegnati a Gesù Bambino; ed anche perché il tre era il numero della perfezione e del compimento.
Identificati simbolicamente con i discendenti dei tre figli di Noè, (da cui si riteneva che fossero discese tutte le etnie presenti sulla Terra), i Re Magi rappresentavano le tre razze umane: semitica, camitica, e giapetica. 
Da sempre, inoltre, l’inconografia li ha rappresentati con età molto differenti; ed è così che li ritroviamo ancora oggi, nel presepio. Accanto alla mangiatoia si stringono un Re molto giovane, uno nella sua piena maturità, ed un terzo che è già avanti negli anni: a simboleggiare metaforicamente le tre età dell’uomo.
L’introduzione di un Re nero – oggi personaggio immancabile, in un presepio – è invece un po’ più tarda. In pittura, l’immagine del Re moro si afferma in Germania nella prima metà del ‘400, sottolineando anche visivamente l’universalità del messaggio di Cristo, che viene a toccare tutti i continenti allora conosciuti. Ed è significativo che, nel 1505, un anonimo portoghese abbia sentito l’esigenza di dipingere, nel convento di Vizieu, una Adorazione dei Magi in cui è raffigurato un quarto saggio, con la testa coronata di piume alla maniera Indi. E… per curiosità: a proposito di quarto Re Magio, questo personaggio era davvero popolare, nei presepi di una volta. Il quarto Re non era un Indu: era una femmina. Esotico personaggio avvolto in vesti lussuosissime, la Re Magia (si chiamava proprio così) seguiva il corteo dei tre signori, in qualità – si diceva – di fidanzata del più giovane.
E dunque eccoli qui, i tre Re Magi così come li conosciamo oggi. A seconda della tradizione presepistica, c’è una lieve oscillazione fra personaggio e nome (alcuni attribuiscono allo stesso re un nome differente)… ma il “canone” dovrebbe essere questo: c’è l’affascinante Melchiorre dalla pelle ambrata, uomo maturo che giunge dall’Asia e offre a Gesù l’incenso. Poi il giovane Baldassarre, con la pelle scurita dal sole battente, che arriva dalla lontana Africa per donare la mirra al Bambinello. E infine vediamo il vecchio Gaspare, dalla lunga barba bianca, che simboleggia l’Europa mentre offre l’oro al Cristo. Essendo lui il più vecchio, e quindi il più autorevole, è di particolare effetto il gesto che lui compie: primo fra tutti i Re ad inginocchiarsi al Re dei Re, si toglie la sua corona e la posa nella terra sporca, chinando il capo verso il Bambino. È un ossimoro, un assurdo: il più potente e saggi di tutti i Re si genuflette e si umilia di fronte a un bimbo appena nato. È assurdo; è inconcepibile; è splendido. È il Natale.
A vederli così, tutti assieme, i Re Magi sembrano davvero le tre razze umane strette l’una accanto all’altra di fronte al Dio che si è incarnato. E i Magi, in effetti, hanno proprio questo ruolo: sono il simbolo concreto dell’universalità della salvezza, differenti come sono per età, per background, e per zona di provenienza. Il fatto che essi provengano da continenti completamente diversi – si vede bene dai loro tratti somatici – simboleggia la partecipazione di tutta l’umanità al mistero e alla promessa di quella sconvolgente nascita.
I Re Magi, peraltro, sono Santi. Certo. Ma sono anche peccatori. Non erano mica tre coscienziosi Ebrei osservanti che rispettavano scrupolosamente la Legge del Signore: erano pagani, lontanissimi da Dio; ma Dio, in ogni caso, li ha voluti chiamare a sé. Proprio per questa ragione i Re Magi sono rapidamente diventati simbolo dell’universalità della salvezza; molto spesso, nei primi secoli, li si trovava rappresentati negli oggetti funerari, come simbolo tangibile del fatto che chiunque – anche chi ha vissuto nell’errore – può raggiungere la Vita Eterna.
Nel presepio, addirittura, i Re Magi sono stati a lungo considerati i personaggi più importanti, prima ancora dei pastori: i più antichi presepi rappresentano la Sacra Famiglia attorniata dai Magi in adorazione, con pochi altri individui intorno. E un presepio, d’altro canto, perderebbe un po’ di verve senza la presenza dei Magi, che, con i loro vestiti variopinti, i loro grandi dromedari, e il loro seguito esotico di servitori e di schiavetti, danno una improvvisa energia ad ogni scena.

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