È rimasto celebre, ben oltre il recinto della storia francescana, il modo del tutto singolare, ancorché lungamente pensato e progettato, con cui San Francesco intese celebrare, la notte del 25 dicembre del 1223, a Greccio, alla festa liturgica del santo Natale.
Fra Tommaso da Celano O. Min (ca 1190 – ca 1260), proto biografo di San Francesco, nella Vita Prima commissionatagli espressamente da Gregorio IX ( * 1241) e redatta tra il 1228 ed inizio del 1229 – e pertanto immediatamente a ridosso dei fatti – dedica a questo episodio di grande valenza una delle pagine più intense e più vibranti della sua “legenda”, “da leggere” appunto con grande attenzione.
Dopo aver richiamata alla memoria l’aspirazione più alta di San Francesco, che era quella di osservare perfettamente il Santo Vangelo ed imitare fedelmente con tutta la vigilanza la dottrina e gli esempi di Gesù Cristo, il Proto biografo abruzzese ribadisce – quasi a necessaria premessa di tutto il racconto – che San Francesco meditava continuamente le parole del Signore, soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione.
Il Celanese passa poi a descrivere, con un dettato che si fa via via sempre più lirico, la genesi autentica di quell’impresa, di cui San Francesco risultò unico ideatore e principale responsabile.
Questa allora la narrazione del biografo ufficiale: “A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed anche molto caro al beato Francesco [...] Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco [...] lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie ad un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da molte parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno, secondo le sue possibilità, ceri e fi accole per illuminare quella notte, nella quale si accese splendido nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e tutti i tempi.
Arriva alla fi ne Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio ed è raggiante di letizia [...] Greccio è diventata una nuova Betlemme [...] Francesco si è rivestito di paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo” (1 Cel. 84-86). Come si può arguire direttamente dal dettato del Celanese, non si trattò dunque di una qualche “Sacra Rappresentazione”, mancando tutti gli elementi tipici di un’azione propriamente drammatica. Si trattò invece – molto arditamente – di un allestimento scenico fortemente realistico per la celebrazione della santa Messa.
San Bonaventura, e la sua celebre Legenda Maior, ben comprese il fatto audacissimo di San Francesco: “E perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità [San Francesco] chiese ed ottenne prima il permesso del Sommo Pontefi ce [...] Il santo sacrifi cio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il Santo Vangelo” (S. Bonaventura, Legenda Maior X, 7). Giotto, dipingendo nel grande murale di Assisi questo famoso episodio, si attiene, come del resto in tutte le altre storie francescane – come fanno fede i “tituli” correnti sotto i singoli affreschi – al dettato bonaventuriano.
In più, al realismo evangelico di San Francesco, aggiunge il suo “magico realismo”, trasportando di peso tutto il racconto dalla grotta di Greccio all’interno di una solenne basilica papale romana, riconoscibilissima non fosse altro che per il caratteristico lectorium cosmatesco e, più ancora per il bellissimo ciborio arnolfi ano. Tutti gli astanti – preti, frati, uomini e donne – sono come colpiti e frastornati da una sorta di smarrimento, come chi si trovi all’improvviso nel bel mezzo di una situazione del tutto imprevista. Sulla generale sorpresa galleggia però la melodia gregoriana che esce dalla bocca di quattro frati ben piazzati, che si stagliano contro le specchiature marmoree del mirabile Lectorium, che fornisce al grande pittore Mugellano il magnifico pretesto per sperimentare, colpo su colpo, un’arditissima scansione prospettica, meritandosi così, ancora una volta, il titolo di “Giotto spazioso”.
Dopo aver richiamata alla memoria l’aspirazione più alta di San Francesco, che era quella di osservare perfettamente il Santo Vangelo ed imitare fedelmente con tutta la vigilanza la dottrina e gli esempi di Gesù Cristo, il Proto biografo abruzzese ribadisce – quasi a necessaria premessa di tutto il racconto – che San Francesco meditava continuamente le parole del Signore, soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione.
Il Celanese passa poi a descrivere, con un dettato che si fa via via sempre più lirico, la genesi autentica di quell’impresa, di cui San Francesco risultò unico ideatore e principale responsabile.
Questa allora la narrazione del biografo ufficiale: “A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed anche molto caro al beato Francesco [...] Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco [...] lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie ad un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”.
Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da molte parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno, secondo le sue possibilità, ceri e fi accole per illuminare quella notte, nella quale si accese splendido nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e tutti i tempi.
Arriva alla fi ne Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio ed è raggiante di letizia [...] Greccio è diventata una nuova Betlemme [...] Francesco si è rivestito di paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo” (1 Cel. 84-86). Come si può arguire direttamente dal dettato del Celanese, non si trattò dunque di una qualche “Sacra Rappresentazione”, mancando tutti gli elementi tipici di un’azione propriamente drammatica. Si trattò invece – molto arditamente – di un allestimento scenico fortemente realistico per la celebrazione della santa Messa.
San Bonaventura, e la sua celebre Legenda Maior, ben comprese il fatto audacissimo di San Francesco: “E perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità [San Francesco] chiese ed ottenne prima il permesso del Sommo Pontefi ce [...] Il santo sacrifi cio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il Santo Vangelo” (S. Bonaventura, Legenda Maior X, 7). Giotto, dipingendo nel grande murale di Assisi questo famoso episodio, si attiene, come del resto in tutte le altre storie francescane – come fanno fede i “tituli” correnti sotto i singoli affreschi – al dettato bonaventuriano.
In più, al realismo evangelico di San Francesco, aggiunge il suo “magico realismo”, trasportando di peso tutto il racconto dalla grotta di Greccio all’interno di una solenne basilica papale romana, riconoscibilissima non fosse altro che per il caratteristico lectorium cosmatesco e, più ancora per il bellissimo ciborio arnolfi ano. Tutti gli astanti – preti, frati, uomini e donne – sono come colpiti e frastornati da una sorta di smarrimento, come chi si trovi all’improvviso nel bel mezzo di una situazione del tutto imprevista. Sulla generale sorpresa galleggia però la melodia gregoriana che esce dalla bocca di quattro frati ben piazzati, che si stagliano contro le specchiature marmoree del mirabile Lectorium, che fornisce al grande pittore Mugellano il magnifico pretesto per sperimentare, colpo su colpo, un’arditissima scansione prospettica, meritandosi così, ancora una volta, il titolo di “Giotto spazioso”.
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