lunedì 16 dicembre 2013

Riflessione: Nel sogno di Benino si svela il codice di Dio.

Viaggio poetico letterario attorno al pastore addormentato nel presepe.

Quella di Eduardo, “te piace o presepio?”, non è l’unica domanda che si può fare davanti al presepe.
Da ragazzino, di fronte ad un bel presepe domestico, chiedevo chi fosse quel pastore, a volte messo un po’ in disparte, altre volte più grosso degli altri, che con la testa su un pugno dormiva smaccatamente, mentre Gesù Bambino nasceva.

È il pastore indifferente, qualcuno mi rispondeva.
Forse il presepe già conteneva il germe del suo oblio? No, nient’affatto. Mi ci è voluto qualche anno e qualche chiacchierata con gli artigiani di San Gregorio Armeno, tra i decumani napoletani, per imparare che il pastore addormentato, Benino il suo nome, era ben altro.
Nella tradizione partenopea il giovane placido che dorme sogna il presepe. La Natività e il caleidoscopico mondo che le vive intorno sarebbero il sogno bello di Benino.
Sì, il presepio mi piace, risponderei ad Eduardo.

E mi piace anche quest’idea che il presepe sia il sogno dell’uomo. Del sogno sappiamo tanto, non tutto, e non sempre ci fidiamo. Spesso sbagliando.
“Due sono le porte dei sogni inconsistenti” cantava Omero nell’Odissea tanti secoli fa.
Ma “una ha battenti di corno, l`altra d`avorio: quelli che escono dal candido avorio avvolgono d`inganni la mente, parole vane portando; quelli invece che fuoriescono dal lucido corno, verità li incorona, se un mortale li vede”.
Rimeditando il nostro giudizio sul sogno, rivediamo anche la considerazione che abbiamo del presepio.
Il pastore che sogna il Natale vagheggia qualcosa di illusorio?
Un arcano enigma o una divina profezia?
Un desiderio profondo o un’ossessione collettiva?
Forse un ricordo lontano o un’intima realtà?
Solo in quest’ultimo caso il presepe è esperienza di fede; in altri è partecipe di diverse virtù: la speranza, l’amore;
al contrario, nel primo caso il presepe si riduce a qualcosa di evanescente, fatuo, accessorio se non avverso alla verità delle cose.
Le costruzioni oniriche che si presentano attraverso parole secondo Omero ingannano.
Platone, nella Repubblica, chiama sogno la tendenza a scambiare per uguali cose tra loro solo simili.
Non sono beffarde allucinazioni quelle che nel palazzo di Atlante attirano e deludono gli eroi dell’Orlando Furioso di Ariosto?
Quando Shakespeare nella Tempesta dice che abbiamo la stessa natura dei sogni

non vuol far certo un complimento all’uomo, alla sua costanza e saldezza. E non è sempre implicito lo stigma dell’illusione nel significato della parola sognare nelle nostre lingue moderne e pragmatiche?
Per chi la pensa così, Benino farebbe forse meglio a svegliarsi piuttosto che star lì a confondere ciò che immagina con il vero.
Svegliate Benino, smontate il presepe, dimenticate il Natale.
O nel migliore dei casi, lasciate pure dormire quel naif di Benino, trovate anche un angolino al presepe, ma lasciate comunque perdere il Natale.
E se il sonno di Benino rivelasse una soluzione ad un enigma?
O una profezia?
Gli antichi amavano i rompicapi e paradossi, nei sogni gli déi suggerivano soluzioni, spesso ambigue.
Per i Greci che per primi si cimentavano con il gran problema dell’essere che è e del non essere che non è, la nascita in una capanna dell’uomo da una vergine – del tutto dal nulla – per forza dello spirito, sarebbe stata una risposta, o forse solo un’allegorica risposta.
Un altro racconto da decifrare.
Così come da decifrare era il sogno del faraone, che i saggi d’Egitto non comprendevano, e solo l’ebreo Giuseppe rivela nella sua verità.

Un altro Giuseppe, il padre di Cristo, riceve dall’angelo in sogno il messaggio profetico e rivelatore del suo destino e ci crede.
La fiducia di Giuseppe nel suo sogno rende possibile la Natività.
Sogna Benino, sogna, che con speranza crediamo di trovare nel tuo mondo onirico qualche segno, qualche risposta che ci riveli la strada.
Sogna Benino, c’è chi spera che il Natale si avveri.
Tra la psicanalisi e il sacro c’è amore e contesa.

Per Freud il sogno è appagamento dei desideri inconsci negati dalla coscienza individuale.
Uno stato ancora più profondo e magmatico dell’inconscio personale lo esplora Jung: una coscienza collettiva in cui a produrre immagini è la potenza di archetipi che prescindono dal tempo, dallo spazio, dall’etnia, dalla lingua.
Ebbene il presepe, se è sogno, è un desiderio realizzato.

E anche un archetipo ritrovato e consolidato.
Benino forza, anche l’arcigna scienza del profondo ti incoraggia.
Non aver paura di desiderare l’amore che dà la vita.
Non temere di appagare il tuo bisogno di rinascere e soprattutto di rinascere ancora una volta uomo. Non è la natura nel suo complesso che si rigenera nel presepe, ma la vita umana che rinasce vita umana.
Benino sogna, che non uno, ma tanti uomini ancora si vergognano di ammettere che un bambino, una madre, un padre, il lavoro utile, la casa semplice, la natura regolata e la vita comunitaria siano una traccia dell’amore che circola nel mondo.
Il presepe dà segreta soddisfazione.
La scienza antica, fin da Aristotele, sosteneva che nel sogno si manifestassero le forze che avevano impressionato i sensi durante il giorno e che ancora persistevano.

Residuo diurno lo chiameremmo oggi.
Benino che fai? In fondo in fondo sogni ciò che hai vissuto: la tua di nascita forse?
E con te noi ricordiamo, senza ricordo, la nostra? Sarà questo che ci rende così uguali nel tuo sogno. Per la scienza l’attività onirica è fenomeno del sonno, ma ha radici nelle veglie e in esse si prolunga fisiologicamente. È il nostro continuo essere che sogna. Da questo suo punto di vista il sogno è cosa reale.
E cosa reale sarebbe il presepe: una traccia di esperienza vissuta, un pensiero a cui ubbidire anche quando si è tornati nella veglia. Socrate, raccontato nel Fedone di Platone, lo dichiara solenne: “è più prudente infatti non morire prima di aver coscienziosamente fatto ciò che è da fare e ubbidito al sogno”.
Ma solo così immanente può essere la realtà del sogno, e del presepe nel sogno?
Possibile che il sogno del pastore sia sentito come vero a più livelli?
Artemidoro, il maggiore trattatista greco sul tema, distingueva i sogni dalla visione onirica: i primi ci dicono ciò che accadrà, i secondi ciò che esiste al momento.
È possibile che queste due categorie coincidano?
In altri termini, può essere il sogno di Benino non allegoria, non simbolo, non racconto, bensì figura?
Figura, termine usato dal critico Eric Auerbach per definire il viaggio della Commedia dantesca, è la rappresentazione vera di una cosa altrettanto vera in altro luogo e altro spazio.

Possiamo credere che Benino davvero sogni un mondo tangibile e frangibile di terracotta o cartapesta, che rappresenta tanto una verità storica di 2000 anni fa quanto una realtà metastorica che sempre si riafferma.
E se il linguaggio che Dio usa per parlare nei sogni a Benino e noi non fosse quello delle parole e immagini vane, ma quello scritto nella carne che nasce, vive, sogna e muore?
La prima verità del presepe sarebbe nel suo corpo fragile.
Se Benino sogna l’Incarnazione nel presepio, è perché lì si svela il codice di Dio, le cui lettere e parole sono gli uomini e le loro azioni sulla scena del mondo.
Addormentarsi nei panni pesanti di pastore e risvegliarsi uomo nudo e vero in Cristo nella mangiatoia.

Per accompagnare Benino in questo sogno di nome Natale ci vuole fede.
Chi non ne avesse abbastanza provi a poggiarsi umile accanto a un presepio, accanto a Benino.

Stefano Colucci


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