lunedì 16 dicembre 2013

Il vagito di Dio: un bimbo cambia la storia.

L’inventore dell’universo si fa piccolo ed ricomincia tutto da Betlemme
A Natale ha fine l’esodo di Dio, il Suo eterno viaggio in cerca dell’uomo. E ha inizio per l’uomo l’infinita possibilità di diventare Verbo e Figlio di Dio.
Natale è l’inizio del capovolgimento totale, di un nuovo ordinamento di tutte le cose. Non è facile il Natale, non è un quadretto idilliaco, inizia la conversione della storia.
E’ da qui, dove l’infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, che i cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo. Attorno ad esso danzano i secoli, tutto cambia.
Solo due vangeli raccontano la nascita di Gesù: Matteo gli dedica 48 versetti, Luca si diffonde in una narrazione 3 volte più lunga 132 versetti. Mentre Matteo incentra il racconto attorno alla figura di Giuseppe, l’uomo dei sogni, in un’atmosfera drammatica innervata da riferimenti diretti all’Antico Testamento, Luca, in capitoli pieni di ali d’angeli, in un’ambientazione serena, dà il massimo rilievo al ruolo di Maria e introduce l’inedito: una donna che parla con Dio e con gli angeli come un profeta o un patriarca. E per la prima volta nel dialogo con il cielo è a una creatura della terra che spetta l’ultima parola:  
Io ti ho detto si.
Ti porto come si porta un bambino,
fatta pesante di vita.
Entra ancora più profondamente in me,
Signore,
vieni,
aprimi il cuore,
fai spazio,
fammi tenera argilla nelle tue mani,
affonda le mani nel folto delle fibre del mio cuore
nei muscoli, nella carne…

Il modo che Dio ha ideato per incarnarsi esalta la bellezza del corpo, canta il valore della carne, benedetta, assunta, amata: dolce carne fatta cielo. Non dentro la carne è venuto, ma carne lui stesso, in ogni fibra Dio. Non è disconoscendola che noi diventeremo più spirituali. 
Ci fu un censimento in tutto l’impero
Luca ci presenta la nascita di Gesù fondendo insieme l’umile concretezza dei particolari e il respiro della grande storia, la cronaca di una notte senza data e dei grandi calendari degli imperi.
La prima condizione storica è il censimento: la grande macchina imperiale ha preteso questo rigoroso controllo su tutti, probabilmente per aggiornare l’anagrafe tributaria. Qualcosa di minaccioso presiede alla nascita del Salvatore: “ Anche la tua vita mi serve per alimentare le tasse dello Stato”. Ed ecco che, dentro la durezza di questo meccanismo quando l’uomo è semplicemente ridotto a numero e quantità, gli si produce la nascita dell’uomo nuovo.
Un impero brutale nel confronto dei deboli salva dall’anonimato tre poveri: Maria, Giuseppe e un bambino. Quasi che la pressione dei poteri oscuri della storia costringesse Dio a rivelare la luce.
Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia
Una mangiatoia, il posto del cibo, in Betlemme, che in ebraico significa casa-del-pane: questo Bambino deposto nella madia più umile, è davvero il cibo per ogni creatura. Il pane è un segno bellissimo e terribile. Ti fa vivere e si annulla per te; ti nutre fino a farti partecipe di te stesso e si distrugge. Dio non chiede più sacrifici, è Lui che sacrifica se stesso. L’amore non protegge, espone disarma. Dio si espone per noi in un piccolo d’uomo, in una mangiatoia, in una notte di respiro su respiro.
Nelle icone nella scuola di Novgorod il bambino è collocato in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro: il primo gesto di Maria è profezia dell’ultimo, la deposizione nella tomba. Nei vangeli della natività un anticipo del Vangelo totale dentro il Natale la Pasqua.
Ma perché questo Dio si è incarnato? Scrive Origene: prima ha partorito poi si è incarnato. Ha patito per amore (caritas est passio) vedendo quanto lontano era andato l’uomo: l’amore, anche quello di Dio, è, nella sua bella ambivalenza, passione e patimento. Si è incarnato perché ha fatto piaga nel suo cuore la somma del dolore del mondo (Ungaretti).
Pace in terra agli uomini che Dio ama
Una nuvola di canto avvolge i pastori e vanno dove l’angelo aveva detto. E’ così bello che Luca prenda nota di questa sola visita. E’ bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. E’ davvero una buona notizia: la storia cambia direzione.
Dio scommette su coloro sui quali la storia non scommette, sceglie la via della periferia. La grande ruota della storia aveva sempre girato in un unico senso: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il grande, dal debole verso il più forte.
Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio è partorito da una donna, il movimento del meccanismo della storia per un istante si inceppa e poi prende a scorrere  nel senso opposto, nel senso del forte che si fa servo del debole, dell’eterno che cammina fra le età dell’uomo, il fiume di fuoco che si abbrevia in una scintilla, l’infinito nel frammento.
A Natale la Parola è un bambino che non sa parlare, Verbum infas
Il Dio che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo ora si fa Lui stesso polvere del nostro suolo. Il vasaio che aveva plasmato l’uomo come un vaso di argilla diventa Lui stesso argilla di un piccolo vaso, luce custodia in un guscio di creta, ruvido di terra e fremente di luce.
Colui che ha riempito il cielo con miliardi di galassie, l’inventore dell’universo, si fa piccolo e ricomincia da Betlemme. Colui che ha separato la luce dalle tenebre è deposto in una greppia per animali.
Ecco il prodigio più grande: Dio di carne, è questa la parola rivoluzionaria, la parola appassionata del Natale. L’impensabile di Dio, la vertigine della storia.
Dio si è fatto uomo, anzi bambino. E per capire di più penso al bambino che cerca il latte della madre e dico: il Verbo si è fatto fame. Penso al bambino che piange e ha bisogno di tutto e dico: il Verbo si è fatto pianto e bisogno di madre.
Poi penso agli abbracci che Gesù ha riserva ai più piccoli e dico: il Verbo si è fatto carezza; al pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro: il Verbo si è fatto lacrime. Penso a quel velo di fango messo sugli occhi del cieco e dico: il Verbo si è fatto polvere e mano e saliva e occhi nuovi. Alla croce: il Verbo si è fatto agnello, carne in cui grida il dolore.
A Natale Dio viene come un bambino: un neonato non può far paura, si affida, vive solo se qualcuno lo ama e si prende cura di Lui. Così le madri fanno vivere i loro figli: li nutrono di latte, di cure e di sogni, ma prima ancora di amore.  Come ogni neonato, Gesù vivrà solo perché amato. Viene Dio, mendicante d’amore.
C’è un bambino in me che a Natale gli parli di Dio e lui lo sente respirare.
Gli dici che è Natale e lui vede un volo di angeli che aprono il cielo.
C’è in me un uomo disilluso, che ha visto il cielo svuotarsi di stelle.

Ermes Ronchi e Marina Marcolini


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