L’inventore dell’universo si fa piccolo ed ricomincia
tutto da Betlemme
A Natale ha fine l’esodo di Dio, il Suo eterno viaggio in
cerca dell’uomo. E ha inizio per l’uomo l’infinita possibilità di diventare
Verbo e Figlio di Dio.
Natale è l’inizio del capovolgimento totale, di un nuovo
ordinamento di tutte le cose. Non è facile il Natale, non è un quadretto
idilliaco, inizia la conversione della storia.
E’ da qui, dove l’infinitamente grande si fa
infinitamente piccolo, che i cristiani cominciano a contare gli anni, a
raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo. Attorno ad esso danzano
i secoli, tutto cambia.
Solo due vangeli raccontano la nascita di Gesù: Matteo
gli dedica 48 versetti, Luca si diffonde in una narrazione 3 volte più lunga
132 versetti. Mentre Matteo incentra il racconto attorno alla figura di
Giuseppe, l’uomo dei sogni, in un’atmosfera drammatica innervata da riferimenti
diretti all’Antico Testamento, Luca, in capitoli pieni di ali d’angeli, in
un’ambientazione serena, dà il massimo rilievo al ruolo di Maria e introduce
l’inedito: una donna che parla con Dio e con gli angeli come un profeta o un
patriarca. E per la prima volta nel dialogo con il cielo è a una creatura della
terra che spetta l’ultima parola:
Ti porto come si porta un bambino,
fatta pesante di vita.
Entra ancora più profondamente in me,
Signore,
vieni,
aprimi il cuore,
fai spazio,
fammi tenera argilla nelle tue mani,
affonda le mani nel folto delle fibre del mio cuore
nei muscoli, nella carne…
Il modo che Dio ha ideato per incarnarsi esalta la
bellezza del corpo, canta il valore della carne, benedetta, assunta,
amata: dolce carne fatta cielo. Non dentro la carne è venuto, ma
carne lui stesso, in ogni fibra Dio. Non è disconoscendola che noi diventeremo
più spirituali.
Ci fu un censimento in tutto l’impero
Luca ci presenta la nascita di Gesù fondendo insieme
l’umile concretezza dei particolari e il respiro della grande storia, la
cronaca di una notte senza data e dei grandi calendari degli imperi.
Un impero brutale nel confronto dei deboli salva
dall’anonimato tre poveri: Maria, Giuseppe e un bambino. Quasi che la pressione
dei poteri oscuri della storia costringesse Dio a rivelare la luce.
Una mangiatoia, il posto del cibo, in Betlemme, che in
ebraico significa casa-del-pane: questo Bambino deposto nella madia più umile,
è davvero il cibo per ogni creatura. Il pane è un segno bellissimo e terribile.
Ti fa vivere e si annulla per te; ti nutre fino a farti partecipe di te stesso
e si distrugge. Dio non chiede più sacrifici, è Lui che sacrifica se stesso.
L’amore non protegge, espone disarma. Dio si espone per noi in un piccolo
d’uomo, in una mangiatoia, in una notte di respiro su respiro.
Nelle icone nella scuola di Novgorod il bambino è
collocato in una mangiatoia che ha la forma di un sepolcro: il primo gesto di
Maria è profezia dell’ultimo, la deposizione nella tomba. Nei vangeli della
natività un anticipo del Vangelo totale dentro il Natale la Pasqua.
Ma perché questo Dio si è incarnato? Scrive
Origene: prima ha partorito poi si è incarnato. Ha patito per amore
(caritas est passio) vedendo quanto lontano era andato l’uomo: l’amore,
anche quello di Dio, è, nella sua bella ambivalenza, passione e patimento. Si è
incarnato perché ha fatto piaga nel suo cuore la somma del dolore del
mondo (Ungaretti).
Una nuvola di canto avvolge i pastori e vanno dove
l’angelo aveva detto. E’ così bello che Luca prenda nota di questa sola visita.
E’ bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. E’ davvero
una buona notizia: la storia cambia direzione.
Dio scommette su coloro sui quali la storia non
scommette, sceglie la via della periferia. La grande ruota della storia aveva
sempre girato in un unico senso: dal basso verso l’alto, dal piccolo verso il
grande, dal debole verso il più forte.
Quando Gesù nasce, anzi quando il Figlio di Dio è
partorito da una donna, il movimento del meccanismo della storia per un istante
si inceppa e poi prende a scorrere nel senso opposto, nel senso del
forte che si fa servo del debole, dell’eterno che cammina fra le età dell’uomo,
il fiume di fuoco che si abbrevia in una scintilla, l’infinito nel frammento.
A Natale la
Parola è un bambino che non sa parlare, Verbum infas
Il Dio che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo
ora si fa Lui stesso polvere del nostro suolo. Il vasaio che aveva plasmato
l’uomo come un vaso di argilla diventa Lui stesso argilla di un piccolo vaso,
luce custodia in un guscio di creta, ruvido di terra e fremente di luce.
Colui che ha riempito il cielo con miliardi di galassie,
l’inventore dell’universo, si fa piccolo e ricomincia da Betlemme. Colui che ha
separato la luce dalle tenebre è deposto in una greppia per animali.
Ecco il prodigio più grande: Dio di carne, è questa
la parola rivoluzionaria, la parola appassionata del Natale. L’impensabile di
Dio, la vertigine della storia.
Dio si è fatto uomo, anzi bambino. E per capire di più
penso al bambino che cerca il latte della madre e dico: il Verbo si è fatto
fame. Penso al bambino che piange e ha bisogno di tutto e dico: il Verbo si è
fatto pianto e bisogno di madre.
A Natale Dio viene come un bambino: un neonato non può
far paura, si affida, vive solo se qualcuno lo ama e si prende cura di Lui.
Così le madri fanno vivere i loro figli: li nutrono di latte, di cure e di
sogni, ma prima ancora di amore. Come ogni neonato, Gesù vivrà solo
perché amato. Viene Dio, mendicante d’amore.
C’è un bambino in me che a Natale gli parli di Dio e lui
lo sente respirare.
Gli dici che è Natale e lui vede un volo di angeli che
aprono il cielo.
C’è in me un uomo disilluso, che ha visto il cielo
svuotarsi di stelle.
Ermes Ronchi e Marina Marcolini
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